“Ma perché a te non interessa la libertà?”
Una frase emblematica di un ospite di Cascina ad un altro ospite: “Ma perché a te non interessa la libertà?”. Che grandiosa questione umana!
Nel trattamento delle dipendenze noi troviamo questo disinteresse per la libertà al centro del sintomo, o della ripetizione coatta del comportamento che cercando la libertà, trova il suo rovescio: la sanzione, la prigionia. Bisogna precisare però quale tipo di libertà viene rifiutata. Questo è il punto cruciale. Non è corretto dire che a quell’ospite di Cascina non interessa la libertà, anzi è un grande amante della libertà. Ma di quale libertà?
Quando la libertà diventa pericolosa? Proviamo ad articolarla con il concetto di libertà in psicoanalisi: in psicoanalisi la libertà è un’articolazione tra un desiderio e la legge. Per essere davvero liberi nei confronti del nostro desiderio lo dobbiamo annodare alla legge. Qualsiasi obiettivo noi ci poniamo di raggiungere – una formazione scolastica e universitaria, una professione, una vita affettiva e amorosa – lo strumento con cui lo raggiungiamo è la disciplina del desiderio.
In questo senso, il desiderio lo si realizza solo attraverso una fondamentale relazione con la Legge. In questo senso Il desiderio non è sinonimo di libertà: chi persegue la pura libertà, non trova il suo desiderio, trova la distruzione della possibilità di generare un suo desiderio, trova la sua esclusione dai legami sociali.
L’orientamento fondamentale dell’Associazione La Cascina Onlus si traduce nel tentativo perseguito nel Centro diurno, di contrastare con gli strumenti educativi e terapeutici, la passione dei nostri ospiti per l’esclusione sociale. La passione per la cattiva versione della libertà.
Nel lavoro con gli utenti al Centro Diurno noi assistiamo ad una apparentemente insensata ripetizione di comportamenti che conducono il soggetto a perdere la propria libertà. In realtà il soggetto non vuole ne sa assumersi il peso e la fatica del desiderio, della rinuncia e del rigore che è necessario alla costruzione di un desiderio. Tornare in carcere al posto di tentare di conquistare la propria libertà è un fenomeno ricorrente nel trattamento delle tossicodipendenze o nelle tendenze criminali. Esiste dunque in molti dei soggetti che trattiamo un appello disperato all’intervento della Legge perché il soggetto non ha costruito un’articolazione soggettiva tra la legge e il desiderio.
La carenza della funzione orientante del desiderio nelle tossicomanie o nei comportamenti criminali non ha una unica spiegazione. Nei racconti che questi giovani fanno della loro giovinezza, del periodo formativo della vita emerge sempre però una assenza a livello famigliare della funzione sia del desiderio sia della Legge. Uno svuotamento della funzione educativa, un eccesso della presenza materna e una lontananza del padre; un troppo e un troppo poco.
In fondo in molti di loro la restrizione della libertà è l’unico antidoto all’autodistruzione.
Se esiste una tendenza che non dona libertà agli esseri umani è la libertà dall’altro come obiettivo della propria vita.
L’articolazione tra la legge e il desiderio per raggiungere la dimensione costruttiva e vitale della libertà è quello che noi dobbiamo tentare di costruire nel nostro lavoro con questi ragazzi attraverso il nostro desiderio di aiutarli a comprendere e apprezzare la libertà non senza le sue regole e non insistere a preferire una schiavitù a una libertà mortale: per l’essere umano spesso avere un padrone è preferibile all’assunzione della responsabilità individuale.
Prendersi cura significa per noi la ricostruzione del legame sociale che le sostanze hanno distrutto, attraverso l’approccio educativo.
La lunga esperienza degli operatori ha portato a sapere l’importanza di accogliere silenziosamente le fragilità e le debolezze di ogni soggetto evitando derive moralistiche o buoniste.
Dunque mettiamo all’opera una politica sociale del recupero del tossicodipendente che non punta alla sua umiliazione e pentimento senza imporre un discorso moralistico, ne tanto meno idealistico, bensì la possibilità dell’emancipazione di ciascuno dalla ripetizione mortale della pratica tossicomanica verso un inserimento nel legame sociale.
Ecco perché la Cascina Onlus non è semplicemente un luogo di cura ma un evento della città che introduce una novità rispetto al discorso sociale dominante.
La società contemporanea è una società che mette l’oggetto di consumo al posto dell’ideale sociale. In questo senso è una società che impone una forma di anti amore consumista. Il primato della cocaina nei gusti dei tossicomani evidenzia inoltre la sovrapposizione tra droga e prestazione sociale. Nella società contemporanea il soggetto non fa esperienza del limite perché l’illimitato è una dimensione costitutiva del discorso capitalista dove il godimento ha sostituito il millenario invito al sacrificio. La spinta al consumo è al centro delle tossicodipendenze contemporanee di ogni natura esse siano.
Invece abitare i legami sociali implica il ricorso alla parola per farsi rappresentare e per prendervi parte; quindi obbliga a porre un limite al proprio godimento solitario. Il fondamento ultimo della cura è la sostituzione dell’insensatezza della droga con il senso dei legami di parola di cui fanno esperienza nel nostro centro quotidianamente.